Spingere sulla dissalazione per fronteggiare la siccità


L’Italia stretta nella morsa del gran caldo e della siccità. Soprattutto questo secondo aspetto sta prendendo i caratteri di una vera emergenza per gran parte del territorio della Penisola. Un problema che ovviamene dipende dall’andamento climatico degli ultimi anni, ma che viene ulteriormente accentuato da tutta una serie di carenze, anche di carattere strutturale, che interessano il nostro sistema idrico. Di questo si è parlato a Watec Italy, la mostra convegno dedicata alla gestione ed alla salvaguardia della risorsa idrica, svoltasi a Palermo e organizzata da “Kenes Exhibitions” con la collaborazione di Regione Sicilia e Università di Palermo.
All’ordine del giorno, dunque, il tema della siccità. Solo in Sicilia, è stato detto durante la conferenza stampa di apertura dell’evento, le riserve idriche sono calate del 15% negli ultimi dodici mesi, facendo mancare negli invasi dell’isola oltre 75 milioni di metri cubi di acqua.
Anche le criticità possono però trasformarsi in preziose opportunità in vari ambiti, dall’irrigazione all’industria, visti gli ampi margini di miglioramento del sistema acqua italiano. Una di queste possibilità, ad esempio, è lo sfruttamento delle tecnologie di dissalazione. In Italia le acque salate rese potabili sono 13,6 milioni di metri cubi su un totale di 9,1 miliardi di metri cubi prelevati dalle varie sorgenti. In pratica lo 0,1%, un valore minimo, se si pensa che l’Italia è in gran parte circondata dal mare. Attualmente la dissalazione avviene solo in due distretti idrografici: in Sicilia (12,6 milioni di metri cubi, pari al 92,5% del totale nazionale) e nell’area dell’Appennino settentrionale (tra Toscana e Liguria per il restante 7,5%). Lo sviluppo del settore, secondo gli esperti, potrebbe tornare utile soprattutto nell’industria: incrociando i dati della produzione di acqua con quelli della domanda, ci si accorge della forte richiesta di oro blu da impiegare nel settore industriale in diverse regioni, quali il Veneto, l’Emilia Romagna e la Campania, territori che sboccano sul mare e che hanno tutte le condizioni favorevoli per sviluppare la produzione di acqua dissalata, alleggerendo la pressione sulle fonti tradizionali.
Altro tema centrale, gli investimenti. Quelli per la riqualificazione della rete idrica italiana si attestano su un valore medio nazionale di circa 32 euro per abitante l’anno, quota molto distante dall’obiettivo di 80 euro pro capite fissato dall’Autorità per l’energia elettrica, il gas e il servizio idrico al fine di allineare l’Italia ai livelli europei. Eppure bisogna fare in fretta. Il 60% delle infrastrutture idriche è stato messo in posa oltre 30 anni fa, percentuale che arriva al 70% nei grandi centri urbani, e il 25% di queste supera i 50 anni (il 40% nei grandi centri urbani). Al Centro e al Sud le perdite idriche nella rete si aggirano intorno al 45%, a fronte del 26% rilevato al Nord.

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