Il Mose potrebbe presentare problemi strutturali. La causa: l’acciaio con cui sono state costruiti i perni delle cerniere non è quello del progetto e dei test. Il pericolo: la corrosione dei materiali delle cerniere, cuore dell’intero sistema, con la possibilità di un cedimento strutturale della paratoia.
È quanto scritto nero su bianco in uno studio di 9 pagine realizzato dal professor Gian Mario Paolucci, già docente di Metallurgia all’Università di Padova ed esperto del Provveditorato alle opere pubbliche (ex Magistrato alle Acque). Uno studio che rafforza dubbi e incertezze sull’opera in costruzione per proteggere Venezia dall’acqua alta, avanzate già da altri esperti negli ultimi anni. E che mette a nudo una situazione grave, che potrebbe farne slittare il completamento oltre giugno del prossimo anno.
La perizia, commissionata dal Provveditorato e consegnata a fine ottobre, mette a nudo diverse criticità dei lavori. La principale è la mancanza di un’adeguata protezione catodica. «La natura metallica non inossidabile del materiale prescelto con cui è stata realizzata la maggior parte dei componenti immersi rende quest’ultimo particolarmente vulnerabile alla corrosione elettrochimica provocata dall’ambiente marino», vi si legge.
Ma non solo. «Abbiamo l’assoluta convinzione che la protezione offerta dalla vernice non sia totale né duratura, causa le abrasioni prodotte da sabbia e detriti», continua lo studio. Dunque, l’unica protezione che resta è quella catodica. Ma ad eccezione di Treporti, le paratoie che hanno lo zinco protettivo non sono ancora state montate sui cassoni, i quali però sono sott’acqua da tre anni e la manutenzione è prevista solo dopo cento anni. La conseguenza è che «la corrosione provochi danni strutturali e dunque il cedimento della paratoia», scrive il professore. I problemi, purtroppo, non finiscono qui. Le cerniere delle paratoie sono formate da un «maschio», agganciato alla paratoia, e da una «femmina», cementata nei cassoni di fondazione. «Il connettore femmina, dal quale dipende il funzionamento delle barriere mobili – prosegue lo studio – costituisce l’anello debole dell’apparato a causa di un mancato controllo ispettivo per la sua intera vita di 100 anni, a meno di una laboriosa e costosa manutenzione straordinaria. Inoltre, la necessità di effettuare tale manutenzione verrebbe segnalata da malfunzionamenti causati da danni ormai avvenuti e talvolta irreparabili. Cioè, quando è troppo tardi. In questo caso, l’unica cosa da fare è sperare che i danni che certamente si saranno verificati sui connettori femmina di Lido, San Nicolò, Malamocco, Chioggia, siano contenuti».
Per chiudere, la relazione sottolinea anche sostanziali differenze tra l’acciaio utilizzato per i test e quelli poi utilizzati nella costruzione delle 158 cerniere. Il primo era acciaio inox superduplex prodotto dalle Acciaierie Valbruna di Vicenza. Il secondo invece era di lega diversa e di costo ovviamente inferiore. Una difformità «che lascia qualche margine di dubbio sulla tenuta strutturale e anticorrosione nel tempo di questo importantissimo elemento strutturale».