All’analisi di tali oneri si dedica, ormai da 8 anni, l’Osservatorio “I Costi del Non Fare”, che lo scorso dicembre ha presentato a Milano, in occasione del convegno Infrastrutture del futuro: verso un nuovo modello di sviluppo. Priorità, tecnologie, norme e finanziamenti, il Rapporto 2013. Secondo il nuovo studio, i costi del non fare (CNF) potrebbero ammontare a oltre 890 miliardi di euro nel periodo 2012- 2017 (fig.1). Una cifra enorme, che può avere pesanti ripercussioni sullo sviluppo e la competitività del Paese.
Guardando a come questi costi si articolano nei vari settori, emerge come nel comparto energia la mancata realizzazio¬ne di 28 GW di impianti elettrici, 6.750 km di nuove reti elettriche, 207 stazioni elettriche e 14 G (m3) di capacità di ri-gassificazione potrebbe generare CNF per quasi 66 miliardi di euro. Per evitare questi costi, gli investimenti prioritari dovranno essere orientati, come indicato dal SEN (Stategia Energetica Nazionale), alla pro¬mozione dell’efficienza energetica, alla realizzazione di un Hub del gas, allo svi¬luppo sostenibile delle rinnovabili e delle infrastrutture del mercato elettrico. Il mancato raggiungimento degli obiettivi di risparmio energetico al 2027 genererebbe CNF per 46 miliardi, mentre non realizzare i termovalorizzatori necessari comporterebbe oneri per oltre 10 miliardi.
I trasporti, invece, evidenziano un CNF di 96 miliardi di euro per le autostrade e di 129 miliardi per le ferrovie. Il settore della logistica (porti e interoporti) mostra un CNF di 73 miliardi.
Nell’idrico, invece, per evitare costi per un totale di 44 miliardi di euro servirebbero investimenti dedicati alla sostituzione di 107.700 km di reti idriche e di im¬pianti di depurazione per la copertura di 18.000.000 di abitanti equivalenti. Infine, per il settore delle telecomunicazioni, la mancata copertura al 2027 mediante reti a banda ultralarga (BUL) del 72% delle famiglie, determina un CNF di circa 429 miliardi.Per comprendere l’evoluzione del CNF i ricercatori dell’osservatorio hanno osservato lo sviluppo reale delle opere nel tempo.
Dal monitoraggio delle realizzazioni infrastrutturali del biennio 2012-2013 emerge una riduzione del CNF, che passa da 893 a circa 737 miliardi di euro. Un risultato spiegabile alla luce di due considerazioni: da un lato, alcuni settori si sono mossi in modo positivo, o addirittura più che positivo, facendo emergere un BAF complessivo (Beneficio dell’Aver Fatto) di 48 miliardi di euro di costi evitati; dall’altro il CNF si è ridotto anche perché il Paese ha già pagato, in soli 2 anni, oltre 82 miliardi di euro a causa dell’inerzia (fig.2).
Il comparto energetico
Il risultato nei vari settori è tuttavia estremamente eterogeneo e articolato: vediamo che cosa è successo nei settori dell’energia, dei servizi idrici e delle telecomunicazioni.
Nell’energia l’intenso sviluppo delle rinnovabili, delle stazioni elettriche e la realizzazione di un rigassificatore hanno in parte bilanciato l’inerzia della rete di trasmissione. Nel complesso, gli impianti di produzione elettrica sono cresciuti di più rispetto ai fabbisogni stimati dallo stesso Osservatorio, ma in modo disomogeneo. Da un lato, continua intenso lo sviluppo delle rinnovabili, con un incremento della potenza installata di 5,9 GW nel 2012 e di 6 GW nella previsione 2013. Dall’altro, nulla è stato fatto sul fronte della produzione elettrica a carbone. Circa la rete di trasmissione nazionale, i primi dati di Terna evidenziano sia per il 2012 che per il 2013, una riduzione della consistenza delle linee. Ciò è frutto di processi di razionalizzazione che seguono un decennio di intenso sviluppo (oltre 2.500 km di nuovi elettrodotti) e precedono una nuova fase di investimenti che prevede ulteriori 1.200 km di nuove terne. Notevole, invece, lo sviluppo delle stazioni elettriche, aumentate di 14 unità nel solo 2012. Dati che testimoniano una fase di modernizzazione del sistema di trasmissione elettrica che porta a sostituire linee più piccole e inefficienti con linee di maggior portata (380 kV) e a realizzare stazioni di trasformazione per dare maggiore sicurezza alla rete di trasmissione nazionale.
Infine, i rigassificatori. Dopo circa 4 anni di inerzia è stata realizzata un’unità a Livorno con una capacità di 3,75 G (m3). Lo sviluppo delle rinnovabili e dell’efficienza energetica ridurranno la funzione dei rigassificatori ai fini della sicurezza degli approvvigionamenti. Ciò nonostante, resta intatta la valenza strategica di tali impianti in ottica di approvvigionarsi a prezzi più concorrenziali, cogliendo le opportunità offerte dal mercato spot.
Le criticità del servizio idrico
Anche nel settore idrico, gli scarsi investimenti nelle reti e negli impianti di depurazione determinano costi ben più elevati dei benefici nel biennio 2012-2013. Al palo, dunque, lo sviluppo e la modernizzazione del settore, inefficienti le reti, scarso il servizio, incombente la minaccia di multe salate per la mancata depurazione. Nel biennio 2012-2013, infatti, sono state poche le sostituzioni delle reti acquedottistiche, circa 1.300 km, e insufficiente l’adeguamento e/o la costruzione degli impianti di depurazione, con un incremento di 800.000 abitanti equivalenti (A.E.) serviti. Il settore non sta dunque risolvendo il deficit infrastrutturale, sia sotto il profilo dell’emergenza quali-quantitativa dell’approvvigionamento, sia nel comparto fognario e della depurazione. Inadeguata sembra anche l’attività di manutenzione e l’aggiornamento tecnologico. Senza dimenticare, infine, la crescente necessità di interventi di mitigazione del rischio idrogeologico, per garantire sicurezza e continuità del servizio, ma anche un uso sostenibile della risorsa.
Non decolla la banda ultralarga
Guardando, infine al settore delle telecomunicazioni, i pochi investimenti nelle reti fisse a banda ultralarga nel biennio 2012-2013 hanno portato la copertura dal 10,7% di fine 2011, al 14% stimato per il 2013. Tali investimenti sono ancora concentrati nelle aree di mercato in cui gli operatori privati trovano profittabilità e ove si sta sviluppando un’intensa dinamica concorrenziale sull’infrastruttura. L’Italia risulta essere oggi l’ultima per copertura BUL tra i principali Paesi europei: il dato più recente, pari al 14%, è ampiamente al di sotto della media europea, pari al 53,8%. Peri accelerare lo sviluppo della rete BUL e di colmare il gap con gli altri Paesi europei è necessario uno sforzo congiunto di tutti i soggetti, pubblici e privati, in modo da mettere in campo politiche di concertazione tra Governo, amministrazioni e operatori. Ai piani degli operatori privati, che sono concentrati soprattutto al Centro-Nord del Paese, devono affiancarsi piani di sviluppo governativi. In mancanza di tali politiche, lo sviluppo della BUL sarà confinato alle sole aree di mercato e a disposizione di una parte minore della popolazione (circa il 28%).
Accelerare lo sviluppo delle infrastrutture
Nell’attuale contesto economico e competitivo tra nazioni e continenti, per rilanciare lo sviluppo del Paese è necessario focalizzarsi sugli investimenti infrastrutturali e tecnologici veramente prioritari, in grado cioè di generare i maggiori ritorni economici, ambientali e sociali e, quindi, capaci di attrarre risorse finanziarie private. Sul tema delle priorità molto è già stato detto negli studi degli scorsi anni. Preme ricordare solo due aspetti. In primo luogo, l’utilizzo di una rigorosa Analisi Costi Benefici (peraltro resa obbligatoria dal DPCM 3 agosto 2012, ma finora disatteso) potrebbe aiutare il decisore politico/amministrativo a individuare in modo univoco le opere che generano i maggiori benefici economici e sociali e ad allocare in modo efficiente le scarse risorse pubbliche. In secondo luogo, occorre adottare un nuovo approccio nella definizione dei fabbisogni infrastrutturali del Paese, meno attenta agli aspetti quantitativi assoluti e più focalizzata sull’ottimizzazione dei sistemi infrastrutturali esistenti, attraverso l’individuazione di interventi di razionalizzazione e upgrade tecnologico.
Quest’ultima problematica non ha solo implicazioni metodologiche per gli studi sulle infrastrutture, ma impatta pesantemente anche sulle policy pubbliche. È di crescente importanza considerare esplicitamente gli interventi di efficientamento (razionalizzazione e de-infrastrutturazione) e di modernizzazione. Accanto a ciò occorre correlare i fabbisogni infrastrutturali alle reali capacità finanziarie del Paese, verificando le disponibilità pubbliche e le potenzialità di attrazione delle risorse private nazionali e internazionali. Riguardo alle risorse pubbliche non c’e da farsi troppe illusioni: è ampiamente noto che ormai da diversi anni, e probabilmente ancora per i prossimi due decenni, la capacita di spesa del settore pubblico sarà fortemente ridotta e vincolata dal Patto di Stabilita per l’alto debito dello Stato. Nel contempo, l’accesso al credito bancario si è contratto, in virtù di una politica sui rischi più conservativa, e risulta pure più oneroso. Insomma, è ormai pacifico che le pubbliche amministrazioni, ai vari livelli, dovranno passare da un ruolo “erogatorio” a un ruolo “promozionale” e di governance non facile, ma di importanza centrale.
Nuovi modelli di finanziamento
Meno pacifico è come questa evoluzione possa avvenire, fermo restando che la costruzione di modelli innovativi diventa ormai imprescindibile, cosi come il rafforzamento delle competenze delle amministrazioni. Vanno individuate strade alternative di finanziamento pensando a nuovi soggetti, a nuovi ruoli per i finanziatori tradizionali, a nuovi strumenti e modelli di finanziamento. Ciò richiede uno sforzo congiunto del sistema finanziario e del sistema politico-amministrativo per creare le condizioni ideali per attrarre i capitali privati nazionali e internazionali nel settore delle infrastrutture.
Questo significa, innanzitutto, costruire progetti di qualità per gli investitori e creare le condizioni ambientali di affidabilità nel medio lungo termine. Nel panorama internazionale, già da alcuni anni hanno cominciato a investire direttamente in infrastrutture operatori come le compagnie di assicurazioni, i fondi pensione e le casse previdenziali. Tali soggetti, con obiettivi di rendimento non aggressivi e una prospettiva di lungo termine, vedono nelle grandi opere un asset class ideale che garantisce cash flow stabili e duraturi, bassa volatilità, protezione dall’inflazione. In Italia tali soggetti, per motivi sia normativi che culturali – ma anche per una percezione di elevata rischiosità dell’investimento infrastrutturale – tendono ad investire gli ingenti fondi di cui dispongono quasi esclusivamente in debito pubblico e in fondi immobiliari. Anche per questi operatori occorre creare le condizioni normative che rendano più sicuri gli investimenti e stabili i rendimenti, rimuovere i vincoli all’operatività in infrastrutture dei nuovi soggetti (regolamenti IVASS e COVIP, regole di Basilea III, ecc.) e sviluppare strumenti di garanzia da parte degli investitori istituzionali (CDP, SACE, ecc.). Riguardo i nuovi modelli di finanziamento, la capacita di attrarre capitali privati si fonda anche sullo sviluppo di strumenti di Partenariato Pubblico Privato (PPP). Guardando alle esperienze estere, Francia e Inghilterra in particolare, è possibile ben comprendere i vincoli da rimuovere per lo sviluppo del PPP in Italia. Infine, sul lato degli strumenti è positiva l’introduzione nel nostro ordinamento dei Project Bond. Occorre tuttavia creare le condizioni per una loro piena adozione. Alcuni provvedimenti sono stati adottati, come l’eliminazione al tetto di emissione delle obbligazioni, l’eliminazione della soglia massima di deduzione degli interessi passivi, la forte riduzione dei costi del pacchetto di garanzie e delle imposte e l’equiparazione della tassazione dei project bond a quella dei titoli di stato. È necessario, tuttavia, agire sul lato della domanda ampliando la gamma di soggetti che investono in questi strumenti – e in particolare assicurazioni, fondi pensione e casse previdenziali – rimuovendo i vincoli statutari e normativi e agevolandone l’operatività.
La “ricetta” dell’Osservatorio
Per un rilancio significativo dello sviluppo infrastrutturale del Paese e per creare le condizioni ideali per gli investimenti dei soggetti privati, i ricercatori dell’Osservatorio hanno individuato 11 aspetti di policy sui quali intervenire
:
• Inserire le scelte infrastrutturali in un’ottica di strategia complessiva del Paese, avendo ben presente gli obiettivi politici ed economici di lungo periodo.
• Selezionare le priorità realizzative attraverso criteri e metodiche razionali (ad es. Cost Benefit Analysis) elaborate da soggetti competenti.
• Sviluppare confronti intersettoriali per una efficiente allocazione delle risorse.
• Progettare le opere con sobrietà evitando l’overdesign, contenendo tempi e costi di realizzazione e ottimizzando i costi di gestione durante la vita dell’infrastruttura.
• Razionalizzare i processi di autorizzazione e realizzazione definendo iter standardizzati e chiaramente strutturati che non lascino spazio alla reiterazione delle decisioni.
• Privilegiare le soluzioni tecnologiche più avanzate, idonee ad un più efficiente utilizzo dell’esistente.
• Investire in protezione e sicurezza per garantire la continuità e la qualità dei servizi erogati.
• Avviare un forte processo di de-infrastrutturazione razionalizzando i sistemi esistenti e restituendo spazi al territorio.
• Aumentare il consenso delle popolazioni sulle opere utili alla collettività, sviluppando strumenti di maggior coinvolgimento nei processi decisionali.
• Favorire lo sviluppo del PPP (partenariato pubblico-privato) come sistema stabile e continuativo di realizzazione, gestione e finanziamento delle infrastrutture.
• Adottare sistemi di governance pubblica con soggetti competenti in grado di elaborare e proporre modelli e soluzioni innovative anche ai fini della finanziabilità.
Gli autori
Stefano Clerici
stefano.clerici@agici.it
Laurea e Master in Bocconi, è condirettore dell’Osservatorio “I Costi del Non Fare”. Svolge attività di ricerca, consulenza e didattica specializzata nel settore delle utilities e delle infrastrutture.
Alessandra Garzarella
Alessandra.garzarella@agici.it
Laurea e Master in Bocconi, coordina l’Osservatorio “I Costi del Non Fare”. È Senior Analyst in Agici Finanza d’Impresa dove è responsabile di progetti nel settore trasporti e idrico.