09/04/2020
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Per non dimenticare le mirabili opere di ingegneria. Di quando Milano era “maestra”

L’anno Mille: la città si chiude alla campagna

Un mutamento della visione di Milano, decisivo, di lunga durata ed estremamente creativo, avviene nella seconda metà dell’anno Mille con la costruzione del fossato circolare a difesa della città. Il passaggio da una disposizione urbana aperta a una recintata, visivamente chiusa dai “terraggi” (ovvero dai cumuli di terra di riporto, proveniente dallo scavo per creare il fossato, e accatastata sulla riva interna di quest’ultimo), aumenta la percezione dei rumori e degli odori della città e riduce di molto la sua visuale verso la campagna, e viceversa. Questa dimensione di chiusura e riduzione della visuale da Milano, e di Milano, aumenta con la costruzione delle fortificazioni medioevali, mentre le acque addomesticate dal lavoro di benedettini e cistercensi vengono ora alimentate dal fossato delle risorgive. Ciò che esiste all’interno delle mura è una realtà da odorare e toccare, tutta la vita delle persone è dominata dall’olfatto e dall’udito assai più che dalla vista: il panorama è limitato a uno spazio ristretto, e la sera la luce all’esterno e all’interno dei palazzi e delle case è quella del lume delle torce e delle candele.

Il Trecento: la città-porto e la funzione commerciale delle vie d’acqua

Nella seconda metà del Trecento i milanesi, stupiti, vedono navigare, per la prima volta nella loro storia secolare, le imbarcazioni nel primo tratto del fossato. Vedere le barche approdare ai piedi della fabbrica del Duomo nel laghetto-porticciolo di S. Stefano, costruito nel 1388, come estensione del fossato verso il centro città, cambia il volto di Milano, la città assume i connotati di una città-porto e il fossato ha una nuova funzione, la navigazione, fondamentale per lo sviluppo della città stessa.      

Gli effetti della trasformazione del fossato grazie al collegamento con i navigli del contado si manifesta quando i mercanti di Milano esigono di aprire varchi nelle mura per avere spazi, “sciostre”, per scaricare, depositare e vendere le abbondanti vettovaglie e i materiali, legna, pietre e ferro, trasportati in città via acqua, grazie al collegamento del fossato ai Navigli. In seguito, nella città “del fitto fare e commerciare”, nobili, ecclesiastici e commercianti ottengono la demolizione di quasi tutte le mura per avere più spazio per le sciostre. Con lo sviluppo del mercato la città riacquista la disposizione aperta, le campagne tornano a vedere la città, con un fronte, quello interno al fossato, ricolmo di sciostre, ma anche di visuali panoramiche, grazie a orti, giardini e boschetti (broli) presenti sulle rive del largo, profondo fossato colmo d’acqua e di pesci.

Ponte di S. Marco – G. Canella

Chi per primo intuisce le potenzialità estetiche, pratiche e visive del fossato è l’architetto Antonio Averulino, detto il Filarete, che sceglie il brolo di S. Stefano per realizzare la Cà Granda, il primo grande ospedale di Milano. Il Filarete conferisce al fossato le caratteristiche strutturali di un canale alimentatore, di navigazione e anche di pulizia, determina di fatto la sua trasformazione da fossato difensivo a canale vitale per la città e per la campagna.

Fine Quattrocento: il sogno di Leonardo resta sulla carta

Ma l’interesse dei mercanti per ottenere più spazio per le sciostre è così forte da determinare, al termine della Cà Granda, nel 1465, la riduzione del fossato: dai 24/30 metri iniziali ai 12/16 metri. Una contrazione notevole della larghezza della cerchia dei navigli, della “fossa urbis navigera”, che riduce di quasi la metà lo specchio d’acqua che ne caratterizzava il volto.

 Il “mirabile” naviglio che accoglie Leonardo da Vinci non ha più l’aspetto del fossato, è già un canale strutturato impregnato dell’odore del fieno, il foraggio per i cavalli, anche di quelli d’attiraglio che trainano le barche controcorrente dalla alzaia, la strada di servizio parallela al naviglio sulla sponda di valle. Lo “sguardo” di Leonardo da Vinci rivolto al naviglio è significativo: nel suo progetto di espansione di Milano, Leonardo immagina una città estesa fino al redefossi, una città aperta, senza fortificazioni difensive, “in un territorio circuente quello antico servito dal mirabile naviglio”.

Alla fine del Quattrocento, la visione che Leonardo ha di Milano resta sulla carta, l’invasione francese prima e quella spagnola poi delimitano di nuovo, con la costruzione delle mura bastionate, la visione di Milano. Tuttavia, la rilevante distanza tra il canale circolare e le mura spagnole, iniziate a metà del Cinquecento, lungo il redefossi ‒ il fossato assunto da Leonardo come limite per l’espansione di Milano ‒ calcolata nel valore reale di 500/700 metri, garantisce, in una certa misura, la visione di Milano dai borghi cresciuti oltre il naviglio.  

La dominazione spagnola e il progetto di Meda di un sistema di idrovie che colleghi i laghi al mare

L’immagine del paesaggio di Milano, lo sguardo oltre la riva del canale, si identifica, nel processo di visualizzazione urbana, nella crescita della città oltre il canale. Colui che osserva con criterio la città chiusa dai bastioni è Giuseppe Meda, pittore, architetto, ingegnere della seconda metà del Cinquecento. Meda vorrebbe completare e perfezionare la struttura del sistema delle idrovie con baricentro il naviglio interno, rendendola funzionale ed estesa, senza rotture di carico, dai laghi Maggiore e di Como fino al mare Adriatico. Un’impresa ardua nel clima culturale della dominazione spagnola per cui la scienza vale piuttosto come pretesto, e l’esercizio del potere si annulla nelle “grida”, in un inutile esercizio uditivo.

L’acqua del naviglio continua però a dare volto alla città, a segnare il confine tra la città propriamente detta e i suoi borghi in crescita tra la cerchia dei navigli e i bastioni spagnoli.  Con i suoi sette corsi principali Milano è tutta interna alla cerchia dei Navigli, diciotto dei venti borghi del circondario sono distribuiti tra la cerchia e i bastioni; al di là dei bastioni, in quasi tutte le direzioni è aperta campagna. L’abbondante acqua nei Navigli permette, anche in città, la produzione ittica: la contessa di Guastalla fa costruire nel giardino del suo collegio un’elegante peschiera alimentata dalle acque della cerchia dei Navigli. 

Il Naviglio lungo via F. Sforza – G. Canella
Il governo di Maria Teresa e Bonaparte: il rinnovamento di Milano 

Nel frattempo, Milano rifiorisce nel governo illuminato di Maria Teresa d’Austria e di Napoleone Bonaparte. L’interprete della magnificenza civile, colui che immagina una nuova visione di Milano, è Giovanni Antonio Antolini che presenta a Napoleone il suo progetto del foro Bonaparte incentrato sulla ricomposizione della circolarità del Naviglio interrotta tre secoli prima dalla costruzione del castello sforzesco. Un progetto di una nuova centralità connesso all’affermarsi della mentalità scientifica e coerente con la cerchia dei navigli, tuttavia rimasto sulla carta ma che continua ad affascinare in vista di una possibile rigenerazione dei Navigli.

Durante il periodo di permanenza di Napoleone a Milano, nei bastioni si aprono alcune porte, la Ticinese, la porta Nuova, l’Arco della Pace e la più modesta porta Vercellina, la città acquista un’immagine più libera, più europea. Si inaugura l’Arena e la si riempie d’acqua per festeggiare l’evento con uno spettacolo di naumachia.

Nel paesaggio aperto della storia, grazie a Napoleone e al Naviglio di Pavia, allora in corso di ultimazione, Milano attua, nel 1817, fuori dalle mura, tra porta Ticinese e porta Genova, la trasformazione del laghetto di S. Eustorgio in un ampio specchio d’acqua, una darsena, porto di navigazione interna del bacino del Po. Finalmente Milano accoglie, senza rotture di carico, le navi provenienti dai laghi e dal mare e realizza il sogno dei milanesi, reclamato fin dalla fine del Duecento.

Nuove vedute dei Navigli e di Milano

Nel contempo la cerchia dei Navigli rinnova parapetti e ponti. Significativo è il progetto neoclassico del nuovo allineamento del corso di porta Orientale con la riforma della conca di navigazione, l’alzaia che passa sotto il ponte, lo scaricatore che aziona le ruote idrauliche del mulino. Il paesaggio lungo la cerchia diventa oggetto di interesse da parte dei maggiori vedutisti urbani, dalle visioni di Domenico Aspari, a quelle nitide di Giuseppe Canella, ai tagli fortemente angolati delle precise prospettive di Angelo Inganni. Per Carlo Perogalli il naviglio interno è da considerare come  “uno dei più eleganti lungofiume” d’Italia. Un paesaggio di luce naturale tra palazzi, giardini e magazzini, che sostituiscono le precedenti sciostre. 

Veduta presa sul ponte di porta Orientale con la neve – A. Inganni

E in quel periodo, nella prima metà dell’Ottocento, l’imprenditoria milanese dà impulso alle neonate industrie e contemporaneamente la cultura visiva si appropria dei bastioni, non solo per passeggiare in carrozza o a piedi, ma anche per la prospettiva che donano: “di su le mura di Milano che guardano a settentrione – Alessandro Manzoni fa vedere a ciascun milanese – purché sia di fronte”  il monte a forma di sega, il “suo” Resegone “in quella lunga e vasta giogaia degli altri monti di nome più oscuro e di forma più comune”. 

La copertura del laghetto di S. Stefano

A quell’epoca, “il canale detto il Naviglio” non è certo bello a vedersi e diventa sempre più insopportabile per l’olfatto, soprattutto durante l’asciutta, a causa dell’impurità dell’acqua, in quanto il Naviglio è sempre più utilizzato per diluire i rifiuti urbani. La mentalità olfattiva prevale su quella scientifica: anziché chiedere di costruire le necessarie fognature ed eliminare la causa dell’inquinamento del Naviglio, i medici della Cà Granda, dimentichi di avere iniziato, con la costruzione dell’ospedale, a diluire i “destri” nel fossato, chiedono all’imperatore d’Austria di coprire il trecentesco laghetto di S. Stefano. Tra il 1857 e il 1859 Milano perde uno dei luoghi più suggestivi della città in cui, come notava Giacomo Bascapè, “era possibile vedere specchiarsi le guglie del Duomo di Milano”.  

Fine Ottocento: arrivano i tram e i Navigli diventano un fastidio

Dopo l’unità d’Italia arriva a Milano l’elettricità. Utilizzando le acque, sfruttando i grandi salti, come per esempio la caduta di 24/28 metri di Vizzola, Milano può contare su 23.000 cavalli di potenza. L’elettricità alimenta la piccola lampada, il grandissimo opificio e la trazione elettrica, imprime alla città un nuovo volto. E se l’illuminazione passa dal gas alla luce elettrica e conquista rapidamente i negozi, i teatri e gradualmente le strade e i portici, nel contempo le “Carrozze Elettriche Edison” entrano nel paesaggio di Milano anche se è disagevole, nel percorso tra i borghi e la città, superare i ponti della cerchia dei Navigli. Delle 18 linee elettriche 15 fanno capolinea in piazza del Duomo dove girano le carrozze, determinando il cosiddetto “carosello” tramviario.

In questo periodo tutto quello che è stato fatto ieri diventa vecchio e desueto, e i Navigli sono considerati un “fastidio” con il crescente cattivo odore durante le asciutte: le esalazioni maleodoranti lungo i tratti minori della cerchia dei navigli privati dei fossati del castello da alimentare sono insopportabili.  La realtà olfattiva in parallelo con lo sviluppo dell’edilizia prevale di nuovo, e i “morti” navigli di San Gerolamo e di via Pontaccio vengono coperti, mentre l’attenzione scientifica è tutta rivolta al Padiglione della luce elettrica, dell’Esposizione Riunite di Milano del 1894.

Il Novecento cancella il passato e con esso i Navigli

Alla fine dell’Ottocento la Commissione istituita dal Comune per la sistemazione di piazza del Duomo e delle vie della città non ha dubbi, il riordinamento delle linee tramviarie deve partire da piazza del Duomo: è lì “il centro vero del movimento”, per raggiungerlo speditamente dall’esterno dei bastioni occorre eliminare sia i bastioni che il naviglio interno.  Lo spianamento dei bastioni ai primi del Novecento permette alla città di tornare a essere aperta come era stata immaginata tre secoli prima da Leonardo da Vinci. A tratti, la demolizione dei bastioni consente di ampliare gli spazi a servizio della darsena, di realizzare una circonvallazione stradale sostitutiva delle passeggiate (a piedi, in carrozza o a cavallo), per dare corsa alle prime automobili.

Il Naviglio della Vittoria – A. Inganni

Milano è il centro del progresso scientifico, lo dimostra in occasione del traforo del Sempione, nell’Esposizione Universale del 1906, anteprima delle Fiere Campionarie. Sulla scia dei futuristi, prevale l’idea che occorra “distruggere il culto del passato” in nome della scienza e del progresso. Nel 1912 il Comune di Milano approva il piano regolatore firmato dagli architetti Giovanni Masera e Angelo Pavia che disegnano la copertura del Naviglio: programmano cioè di cancellare la linea di luce ambientale e vitale che, circondando la città, rispecchia e unisce i diversi quartieri cittadini.  

Il progetto del porto di mare naufraga subito

Con l’avvento della ferrovia e dei veicoli a motore, tutte le proposte formulate per adeguare il naviglio interno alle esigenze moderne, da quelle dell’ingegnere Carlo Mira a quelle delle Commissioni comunali, trovano riscontro nel progetto di un nuovo porto, il cosiddetto “porto di mare”, sostitutivo della darsena, per collegare Milano al mare con l’idrovia Milano-Cremona-Po. Un’impresa avviata nel 1919, ma già abbandonata nel 1922, a dimostrare che le politiche sull’uso della risorsa puntavano a farne forza motrice più che via di trasporto. In vista della copertura del naviglio interno, di quel canale circolare ritenuto tramite di navigazione scarso, imperfetto e malsano, per convincere gli artigiani che hanno le loro fabbriche lungo la cerchia dei Navigli, alimentate dalle ruote idrauliche, il Comune di Milano promette loro di compensare, in misura pari, l’energia idrica con l’energia elettrica.

Anni ’20-’30 del Novecento: si giunge alla definitiva copertura dei Navigli

La programmata copertura del naviglio interno serve a lasciare spazio al traffico crescente delle automobili. Così nel 1926, cade nel vuoto il tentativo di Piero Portaluppi e Fabio Semenza di redigere un nuovo piano regolatore che conservi il tratto del Naviglio interno, tra i ponti di via Monforte e di porta Romana, per “ragioni estetiche e tradizionali”. La componente visiva-estetica introdotta dal Filarete, apprezzata da Leonardo da Vinci, avanzata culturalmente da Carlo Cattaneo, per il quale il naviglio interno rappresentava un’opera monumentale che le altre nazioni europee avevano imitato, viene respinta.

Naviglio di via F. Sforza – G. Canella

E mentre sono in corso i lavori di copertura (1929-1935), l’architetto Luca Beltrame preannuncia l’effetto urbano di tali lavori, “destinati a modificare il tradizionale aspetto estetico di una larga zona della città” e lo scrittore Riccardo Bacchelli, l’autore del Mulino del Po, si rammarica con rancore di non poter più identificare la storia, non solo letteraria, di Milano. L’opera di sepoltura del naviglio interno “oltre che disastrosa per l’arte e l’architettura” – noterà Leonardo Borgese – “fu eseguita malissimo anche dal lato tecnico tanto che nemmeno si pensò a ricavarne una metropolitana”.

 
Uno sguardo su Milano oggi

Si immagini ora di percorrere con lo sguardo gli anni trascorsi dalla copertura della cerchia dei Navigli e dei suoi rami fino a oggi. Il rumore, l’inquinamento dell’aria e visivo presente fino a ieri lungo la cerchia dei Navigli andrà, dopo la ripresa della mobilità, scientificamente rilevato per dimostrare quanto è nocivo alla salute dei cittadini.

La costruzione in corso della linea 4 del metrò, al di sotto del letto del canale, giustifica più di ieri la pedonalizzazione del centro storico richiesto dai milanesi rispondendo al quesito posto loro al tempo di Carlo Tognoli sindaco. Qualche anno addietro al referendum sulla riapertura graduale dei navigli i milanesi avevano risposto “Sì” e anche di recente i cittadini, interrogati di nuovo, attraverso il dibattito pubblico, in maggioranza erano favorevoli.

I progetti urbani per la Milano del futuro

Superata la pandemia le decisioni che il Comune dovrebbe prendere, in conformità alle richieste dei cittadini, sono

  1. completare la linea 4 del metrò e contemporaneamente, come promesso dal sindaco Giuseppe Sala, progettare definitivamente la riapertura dei Navigli e redigere l’esecutivo e realizzare la riconnessione della conca di Viarenna alla darsena;
  2. pedonalizzare il centro storico;
  3. riaprire i Navigli e ridare a Milano il suo volto circolare, la sua fonte di vita per l’irrigazione di prati, parchi e giardini; ridare vita alla navigazione turistico-culturale in Milano, dal lago Maggiore al mare Adriatico prima, e poi dal lago di Como all’Adriatico; produrre caldo e freddo nell’equilibrio della falda; produrre energia idroelettrica; avere nuovamente la produzione ittica; oltre che preservare l’arte, l’architettura e la storia della città.

Empio Malara

Per maggiori informazioni: www.milanocittadacque.it

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