07/01/2014

Le principali questioni giuridiche

La crescente diffusione dei sistemi di teleriscaldamento urbano rappresenta una delle maggiori novità nel panorama energetico odierno.
Una tecnologia che offre rilevantissimi vantaggi sul fronte del basso impatto ambientale e del risparmio energetico generale, connessi al mancato utilizzo dei combustibili fossili. Non stupisce, pertanto, che il Protocollo di Kyoto abbia indicato nel teleriscaldamento uno degli strumenti più efficaci per la riduzione delle emissioni d’anidride carbonica, né che la direttiva 2012/27/UE abbia evidenziato l’esigenza di predisporre iniziative volte a “creare un contesto stabile e favorevole agli investimenti”.
A tutt’oggi, però, le potenzialità del teleriscaldamento rischiano di essere frustrate – o quantomeno non adeguatamente valorizzate – dalle incertezze che caratterizzano il regime giuridico inerente il servizio.
Non esiste, infatti, una disciplina specificamente dedicata al teleriscaldamento. E soprattutto, non sussiste, nel panorama odierno, alcuna unità di vedute circa la qualificazione giuridica del teleriscaldamento, oscillante tra una definizione in termini di servizio pubblico e, sul fronte opposto, una ricostruzione che ravvisa nel servizio una libera attività economica. L’alternativa appena evocata ha un rilievo tutt’altro che teorico.
Se si ritiene che il teleriscaldamento – in quanto servizio volto a soddisfare un interesse primario della collettività – costituisca un servizio pubblico, si dovrà conseguentemente riconoscere in capo alla pubblica amministrazione l’obbligo di affidare con gara l’erogazione di tale servizio, garantendo al concessionario individuato un regime di esclusiva e, al tempo stesso, regolando le condizioni di erogazione nei confronti della collettività.
Viceversa, se si nega al teleriscaldamento la natura di servizio pubblico – in ragione del fatto che il ricorso a questa tecnologia non è indispensabile a garantire il riscaldamento e dunque la “vivibilità” degli immobili urbani – non risulterà necessario, per l’impresa che intenda operare nel settore del teleriscaldamento, procurarsi alcuna “investitura pubblica”. Negando la qualificazione in termini di servizio pubblico, di conseguenza, non si pone alcuna esigenza di affidamento in concessione del servizio: non vi saranno, pubbliche gare per l’individuazione del gestore, né ingerenze delle amministrazioni locali nella determinazione delle condizioni di accesso al servizio da parte dell’utenza.
La giurisprudenza sinora, non ha raggiunto posizioni univoche, adottando per lo più un approccio casistico.
Le più recenti sentenze si sono concentrate nell’analisi delle caratteristiche della singola fattispecie controversa, esaminando l’ampiezza del ruolo ricoperto – in concreto – dall’amministrazione, e ricostruendo in funzione di ciò la qualificazione ritenuta più adeguata rispetto alla fattispecie. Il tutto sulla base di un discutibile ragionamento induttivo, che di certo non ha contribuito a chiarire una volta per tutte il quadro di regole in cui iscrivere la promettente realtà del teleriscaldamento.

L’indagine dell’Antitrust
Il clima di incertezza descritto non favorisce gli investimenti privati e, dunque, la diffusione sul territorio del servizio. Merita, perciò, di essere positivamente valutata l’indagine intrapresa, ormai circa due anni orsono, dall’Autorità garante della concorrenza e del mercato, volta a delineare “un’analisi del settore del teleriscaldamento, nel corso della quale verranno esaminate: (…) la qualificabilità del teleriscaldamento come servizio pubblico locale e le problematiche relative alle procedure di scelta dei gestori dei servizi di teleriscaldamento; le norme adottate dagli enti locali e i vincoli imposti alla connessione/disconnessione dalle reti di teleriscaldamento; le possibilità di scelta tra modalità alternative di produzione del calore da parte degli utenti e, quindi, le possibilità di interfuel competition; il livello delle tariffe applicate in relazione ai costi sostenuti per la produzione del servizio; le incentivazioni previste dalla normativa attuale; il ruolo del teleriscaldamento nello sviluppo dei sistemi di distribuzione chiusi basati sulla cogenerazione; le aree in cui sarebbe appropriato un intervento normativo e regolamentare”.
Gli esiti dell’indagine in questione ancora non sono stati trasfusi in un documento fruibile per interpreti e operatori.
Tuttavia, quel che preme evidenziare è l’ampiezza e la eterogeneità dei profili indicati dall’Antitrust come bisognosi di certezza e “stabilizzazione”.
La problematicità della situazione attuale circa il regime giuridico del teleriscaldamento non si esaurisce, infatti, nel tema della necessità o meno di affidamento del servizio mediante gara.
Particolarmente delicato, ad esempio, risulta il profilo inerente la necessità, o quantomeno l’opportunità, di sottoporre il settore alla potestà regolatoria di una Autorità indipendente, che potrebbe identificarsi – in un’ottica de jure condendo – con l’Autorità per l’energia elettrica e il gas.
Anche su questo fronte, le posizioni che si contrappongono – quella favorevole alla predisposizione di un regime di regolazione affidato a una Autorità indipendente e quella contraria a tale iniziativa – possono entrambe vantare significativi punti di forza.
Da un lato, infatti, non sono mancate voci che hanno espresso preoccupazione circa i possibili effetti depressivi che potrebbero interessare il settore, laddove venisse sottoposto a regolazione in una fase ancora embrionale di sviluppo. Preoccupazione che, in qualche modo, sembra circolante anche al di fuori dei confini nazionali, come dimostrato dal fatto che nei principali Paesi europei il settore non risulta sottoposto ad alcuno specifico regime regolatorio.

La posizione dell’Aeeg
Sul fronte opposto si colloca, invece, la posizione espressa dall’Aeeg. Nella relazione annuale tenutasi lo scorso giugno il Presidente dell’Autorità ha, infatti, invocato la sottoposizione del settore a un regime di stringente regolazione. A tale richiesta ha fatto seguito la presentazione in Parlamento di un ordine del giorno volto ad affidare all’Aeeg le funzioni di ente regolatore del servizio.
In proposito, non si può fare a meno di notare come per la presentazione di tale ordine del giorno si sarebbe dovuto attendere gli esiti della indagine conoscitiva promossa dall’Antitrust, come sottolineato dai più attenti commentatori. Ciò per consentire un più sereno e completo apprezzamento sulle complesse problematiche sottese al tema della regolazione del servizio.
Peraltro, anche sotto un profilo di merito, occorre registrare le perplessità, espresse soprattutto dagli economisti, circa l’efficienza di un regime di regolazione gestito da un’unica Autorità indipendente, inevitabilmente distante dalla realtà specifica del territorio di volta in volta servito dal teleriscaldamento. Il pericolo paventato è la iper-regolamentazione, anch’essa idonea – tanto quanto l’endemico clima di incertezza – a scoraggiare gli investimenti, e dunque a frustrare gli obiettivi di sviluppo del teleriscaldamento individuati dalla direttiva 2012/27/UE.
La necessità di regolazione, cioè di una “amministrazione del mercato”, poteva sussistere fintantoché i costi di realizzazione delle reti erano molto ingenti e non “bilanciati” da incentivi pubblici, tanto da rendere il servizio costoso per l’utente e dunque poco redditizio – se non addirittura antieconomico – per il gestore.
Attualmente, però, gli scenari sono notevolmente mutati. Oggi è, infatti, possibile per i gestori erogare il servizio a condizioni di mercato, grazie all’evoluzione della tecnologia (che ha reso meno onerosa la realizzazione delle infrastrutture) e alla previsione di incentivi economici volti a implementare il ricorso al teleriscaldamento.
In questo contesto occorre, pertanto, meditare con un approccio laico e obiettivo il tema della regolazione, nella piena consapevolezza dei potenziali effetti collaterali che a tale regime possono accompagnarsi. Ciò con particolare riferimento all’eventualità che la regolazione in questione, ove esercitata in modo troppo “invasivo”, possa interferire con le dinamiche concorrenziali, soprattutto sul fronte dell’efficiente allocazione del baricentro tra qualità e costo del servizio.

La gestione delle reti
Un ultimo cenno, infine, deve essere dedicato al tema della gestione delle reti, la cui complessità tecnologica e onerosità economica ha indotto alcuni commentatori a rintracciare nel servizio del teleriscaldamento le caratteristiche del monopolio naturale.
La questione, ovviamente, è ancora aperta e dibattuta. Quel che, comunque, preme evidenziare è che, aderendo all’ottica del monopolio naturale, si rende necessario individuare un preciso quadro di regole volte a consentire, in caso di liberalizzazione del servizio, lo sfruttamento della rete medesima da parte di più operatori.
La disciplina vigente è, anche sotto questo profilo, del tutto lacunosa. Non vi sono norme che sanciscano, in caso di impossibilità materiale di predisporre più reti infrastrutturali, il regime applicabile ai rapporti tra gli operatori interessati a erogare il servizio di teleriscaldamento.
Allo stato, dunque, la gestione delle infrastrutture sembra rimessa alla capacità di autoregolamentazione degli operatori, cui sembra competere l’onere di raggiungere accordi idonei a scongiurare situazioni di abuso di posizione dominante, ai sensi dell’art. 3 lett. b) della l. 287/1990. Ciò almeno fin quando non verrà valutata, ed eventualmente attuata, la sottoposizione del settore a una regolamentazione unitaria, che si curi di predisporre un regime definito di accessibilità delle reti, idoneo a promuovere la parità tra i potenziali gestori del servizio. Il tutto nell’ottica della salvaguardia della salubrità del mercato del teleriscaldamento e del miglioramento delle condizioni economiche e qualitative con cui tale servizio viene erogato all’utenza.

di Mauro Renna
mauro.renna@studiolegalerenna.it
È Professore ordinario di diritto amministrativo presso l’Università Cattolica del Sacro Cuore. È membro del comitato scientifico dell’Osservatorio sulla regolazione amministrativa della medesima Università e dirige la Rivista quadrimestrale di diritto dell’ambiente. Svolge la professione di avvocato presso lo studio legale associato da lui costituito a Milano, occupandosi prevalentemente di questione energetiche, servizi pubblici, diritto dell’ambiente, appalti pubblici e diritto urbanistico

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