La protezione delle prese d’acqua destinate al consumo umano è disciplinata in Italia dal D.L. n. 152 del 3 aprile 2006 (G.U. n. 88 del 14.04.2006, S.O. n. 96), che, riprendendo il D.L. n. 152 del 1999, all’articolo 94 ribadisce senza sostanzialmente modificarlo il concetto che la zona di rispetto è definita come la “porzione di territorio circostante la zona di tutela assoluta (l’area immediatamente circostante le captazioni o le derivazioni) da sottoporre a vincoli e destinazioni d’uso tali da tutelare qualitativamente e quantitativamente la risorsa idrica captata”. Appare chiaro come la scelta dell’estensione della zona di rispetto (da farsi, secondo il citato D.L. n. 152 2006, con tecniche e metodi prescritti delle Regioni) venga ad influire notevolmente sulle attività presenti nel territorio, con conseguenze economiche di non trascurabile rilievo. Per contro, una insufficiente estensione della zona di rispetto espone la presa a inattesi fenomeni di inquinamento con la conseguente sospensione della fornitura potabile.
Più sfumata appare la definizione della zona di protezione, tranne che nel fatto che la loro opportuna scelta deve essere fatta a scala di bacino, come pure le prescrizioni e le limitazioni da prevedersi.
Il problema è affrontato sia dal punto di vista tecnico che legislativo con particolar riferimento all’acquifero di Settolo Alto (TV), sede dal 2008 di un sito sperimentale nato dalla collaborazione fra università e azienda per favorire l’avanzamento della conoscenza delle problematiche legate allo sfruttamento delle acque sotterranee.
di Paolo Salandin, Matteo Camporese, Elena Crestani- Università degli studi di Padova, Dipartimento ICEA
Enrica Pagnin, Paolo Pizzaia, Roberto Durigon – Alto Trevigiano Servizi s.r.l.
Questo abstract fa parte di una serie di interventi tecnici che verranno presentati durante il Convegno “Università e mondo dell’industria: collaborazione e trasferimento tecnologico” – H2O Bologna 22/24 ottobre.
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