Il sistema idrico fotografato da Blue Book 2017


Infrastrutture idriche in molti casi vecchie e interamente da sistemare, gravi ritardi nella depurazione dei reflui. Il tutto unito a un livello di investimenti molto basso. Ruota attorno a questi tre punti il Blue Book 2017, lo studio promosso da Utilitalia (l’Associazione delle imprese idriche energetiche e ambientali) e realizzato dalla fondazione Utilitatis con il contributo scientifico di Cassa Depositi e Prestiti che fotografa lo stato del sistema idrico nazionale.
Il primo dato che emerge dallo studio, condotto su 54 gestori e una popolazione di 31 milioni di abitanti, è la vetustà degli acquedotti. Il 60% delle infrastrutture infatti è stato messo in posa oltre 30 anni fa (percentuale che sale al 70% nei grandi centri urbani) e il 25% di queste supera i 50 anni (arrivando al 40% nei grandi entri urbani). Situazione all’origine dell’alta dispersione di acqua dalle reti, con una percentuale di perdite che per il Centro e il Sud della Penisola si attesta, rispettivamente, al 46% e 45% della risorsa immessa, e che per il Nord scende al 26%.
L’unica soluzione, secondo gli analisti, sarebbe una politica tariffaria “full cost recovery”, ovvero un incremento del prezzo dell’acqua per i cittadini, adeguandolo a quello medio europeo. Nei confronti internazionali, lo stesso metro cubo di acqua che a Berlino costa 6,03 dollari, a Parigi 3,91 e a Londra 3,66 dollari, a Roma si paga soltanto 1,35 dollari, tanto che il livello tariffario idrico italiano è il più basso, dietro solo ad Atene e a Mosca.
Altro problema insoluto è quello dell’abusivismo e delle morosità, difficili da verificare e affrontare senza una gestione di tipo industriale e dimensioni adeguate delle aziende.
Ancora troppo elevato, inoltre, secondo lo studio, il numero delle gestioni in economia, circa 2.098 che servono 10,5 milioni di abitanti, ciascuna delle quali supera di poco i 4.700 abitanti serviti, con evidenti ripercussioni in termini di capacità di investimenti e di programmazione.

Grave ritardo nella depurazione
Circa l’11% dei cittadini non è ancora raggiunto dal servizio di depurazione, causa delle sanzioni comunitarie all’Italia, colpevole di ritardi nell’applicazione delle regole sul trattamento delle acque. Complessivamente sono colpiti 931 agglomerati urbani, la maggior parte al Sud e Isole e in territori gestiti direttamente dagli enti locali e non attraverso affidamenti a gestori industriali. Diventa dunque “prioritario” il fabbisogno di “investimenti sulla depurazione”. Tuttavia, considerando oltre ai circa 32 euro programmati nel primo periodo regolatorio (2014-2017) anche la quota di contributi e fondi pubblici, si può arrivare a contare 41 euro per abitante all’anno di investimenti. Un dato ben lontano dagli 80 euro per abitante necessari a coprire un fabbisogno totale stimato in circa 5 miliardi all’anno. Dato ancor più grave se si pensa che al Sud le disponibilità si dimezzano a causa di una concentrazione di sanzioni e di ritardi per la depurazione.
«Le carenze della rete idrica e del sistema di depurazione in Italia sono drammaticamente note da decenni. È il motivo per cui stiamo lavorando a tutto campo per affrontare questo nodo sistemico del nostro Paese – ha commentato i dati del Blue Book il ministro dell’ambiente Gian Luca Galletti -. Le risorse non mancano, se pensiamo ai 2,2 milioni già previsti per gli interventi di depurazione e ai quasi 600 milioni destinati al tema acqua nei Fondi di Sviluppo e Coesione. Ancora una volta il problema non sono i soldi ma la capacità, la velocità e la trasparenza nella spesa in sede locale».

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