Arriva fino a 6,1 miliardi di euro la spesa necessaria per adeguare i sistemi di depurazione ai parametri sugli inquinanti emergenti, in particolare residui di farmaci e cosmetici, previsti dalla nuova direttiva europea sul trattamento delle acque reflue urbane. Investimenti ai quali occorre aggiungere 800 milioni di costi operativi ogni anno. A quantificare la spesa studio sul monitoraggio dei microinquinanti realizzato da Cnr-Irsa e Utilitalia, con la collaborazione delle aziende associate a quest’ultima. La pubblicazione in Gazzetta Ufficiale dell’Unione Europea della nuova direttiva è attesa per la fine dell’anno, dopo la sua approvazione definitiva da parte del Parlamento e del Consiglio Ue.
“Chi inquina paga”
Il provvedimento andrà a incidere sull’attività degli operatori idrici, prevedendo standard di qualità degli scarichi più elevati, obblighi di raccolta e trattamento anche nei piccoli agglomerati, l’abbattimento degli inquinanti emergenti e obiettivi di neutralità energetica del comparto. In particolare, la direttiva prevede una percentuale minima di riduzione dell’80%, attraverso sistemi di trattamento avanzati, di alcune sostanze appartenenti ai farmaci e alla cosmesi. Ma l’importante novità della norma consiste però nel fatto che l’80% dei costi legato all’abbattimento di queste sostanze, quindi dell’investimento per rinnovare gli impianti, sarà a carico delle aziende produttrici degli inquinanti. Per la prima volta quindi nel comparto idrico si opererà secondo il principio del “chi inquina paga” e la Responsabilità Estesa del Produttore. «Si tratta di un approccio decisamente innovativo per il settore idrico, mutuato da quanto già da tempo previsto nei rifiuti, per cui è importante comprendere come declinare al meglio l’applicazione di questa importante novità», ha commentato Tania Tellini, direttore del Settore Acqua di Utilitalia.
Investimenti da 1,6 a 6 miliardi
Secondo le stime di Utilitalia e di Fondazione Utilitatis, i costi legati all’implementazione dei sistemi avanzati di depurazione si aggirano tra un minimo di 1,6 e un massimo di 6,1 miliardi di euro. Lo studio ha indagato dieci microinquinanti emergenti nelle acque reflue e negli effluenti degli impianti di depurazione, con una campagna invernale e una estiva. Al progetto hanno partecipato 23 gestori idrici per 55 impianti di trattamento di acque reflue distribuiti su tutto il territorio della Penisola.
Il problema dei composti farmaceutici
Dal lavoro è emerso come alcune sostanze, in particolare i composti farmaceutici, faticano a essere abbattute secondo le percentuali richieste dalla direttiva attraverso trattamenti convenzionali. Richiedono pertanto la necessaria implementazione di sistemi di trattamento avanzati, come ozonizzazione e/o carboni attivi. Per la copertura di questi costi, la direttiva adesso in fase di revisione, prevede appunto l’istituzione di sistemi di Responsabilità Estesa del Produttore.
«Il nostro studio, su un tema ambientale di attualità raccoglie dati riguardanti il destino, negli impianti di depurazione, di dieci microinquinanti emergenti, individuati sia dalla letteratura sia dallo studio svizzero che poi viene richiamato dalla Revisione della Direttiva – ha spiegato Camilla Braguglia, ricercatore CNR-IRSA -. Grazie a Utilitalia e alla partecipazione attiva delle aziende, contribuiamo ad aumentare le conoscenze sulla presenza, diffusione e rimozione di questi composti nelle acque di scarico con l’obiettivo congiunto di individuare strategie per la protezione dell’ambiente tramite la preziosa collaborazione tra il mondo della ricerca e della gestione».