L’Italia è in ritardo nello sviluppo di reti di telecomunicazione a banda larga e ultralarga…
Guardando i dati forniti dall’Unione Europea il ritardo dell’Italia emerge in tutta la sua gravità. Il nostro Paese presenta un tasso di penetrazione di banda larga misurato sulle famiglie del 55,1%, contro una media europea del 72,5%, un divario che cresce in maniera impressionante se si considerano le reti di nuova generazione (NGN), dove la copertura è pari al 14% a fronte di una media europea del 53,8%. Eppure il ruolo strategico che tali infrastrutture rivestono per lo sviluppo e la crescita è universalmente riconosciuto, in quanto a differenza di altre infrastrutture di rete si tratta finalizzate all’erogazione di specifici servizi, la banda larga permette di erogare una pluralità di servizi a vantaggio di utenti privati, imprese, pubbliche amministrazioni. Un ruolo riconosciuto in particolare dall’Unione Europea, che con l’Agenda Digitale ha definito gli obiettivi per i Paesi dell’area euro, che prevedono la copertura a 30 Mbps per il 100% della popolazione e sottoscrizioni a 100 Mbps per il 50% delle abitazioni entro il 2020.
Cosa si sta facendo per ridurre questo gap?
Il documento principale adottato dal governo italiano per stimolare la realizzazione delle infrastrutture a banda larga e ultralarga è l’Agenda Digitale Italiana, istituita il primo marzo del 2012 con il decreto del Ministero dello Sviluppo Economico. Lo stesso Ministero ha poi emanato il Piano nazionale banda larga e il Progetto strategico banda ultralarga che contengono misure, come le norme per l’agevolazione degli scavi o il credito di imposta, per favorire l’attuazione di quanto contenuto nell’Agenda Digitale. Lo sviluppo di reti NGN, sebbene con approcci e strategie diverse, è anche nei piani dei principali operatori del mercato, come Metroweb, Telecom, Vodafone, Fastweb e Wind.
Quali sono le principali difficoltà operative che si riscontrano nello sviluppo di tali progetti?
Il principale problema è costituito dai costi e dai tempi di realizzazione delle infrastrutture. Il cablaggio in fibra ottica di una città è un’opera rilevante. Per realizzare una rete capillare come quella costruita da Metroweb a Milano, ad esempio, sono necessari investimenti per centinaia di milioni di euro e 24-36 mesi di lavoro. Occorre ricordare, poi, che con l’eccezione del capoluogo lombardo e di qualche altro caso isolato, nel resto delle città italiane la rete in fibra è quasi inesistente.
Qual è la voce di costo che incide maggiormente sulla realizzazione delle reti in fibra ottica?
La componente più onerosa è rappresentata dalle opere civili. Le attività di scavo, posa e reinterro delle tubazioni che ospitano i cavi in fibra ottica costituiscono infatti ben il 70% dei costi complessivi di realizzazione dell’infrastruttura. Il restante 30% è dovuto, invece, alla posa delle fibre ottiche e delle terminazioni e dall’installazione delle apparecchiature elettroniche. Per contenere i costi di investimento occorre dunque agire sulla prima voce, le opere civili, in particolare cercando di limitare al minimo possibile gli scavi, che hanno, inoltre, anche un forte impatto sul contesto delle città. Una possibilità in tal senso consiste nell’utilizzo delle infrastrutture già esistenti che per caratteristiche dei materiali e disponibilità di spazi possono essere sfruttate per la posa delle reti in fibra ottica.
Quali infrastrutture possono essere utilizzate?
In linea generale, tutte le tubazioni dismesse e già utilizzate per la distribuzione dell’illuminazione pubblica, acqua e gas possono essere sottoequipaggiate con minitubi per ospitare i cavi della rete di telecomunicazione. Lo stesso vale per alcune infrastrutture in esercizio, in particolare la rete della pubblica illuminazione. In entrambi i casi il risultato è un’importante riduzione dei tempi di realizzazione e un forte ridimensionamento del fattore economico: la valorizzazione dell’esistente può attivare economie di scala che vanno da un 20-30% fino al 50-60% rispetto a una nuova realizzazione. Tutto questo discorso, però, presuppone la conoscenza puntuale delle infrastrutture presenti nel sottosuolo.
Qual è la vostra esperienza sotto questo punto di vista?
Come Laboratori Guglielmo Marconi abbiamo maturato una significativa esperienza nella progettazione delle reti di telecomunicazioni, confrontandoci con tutte le problematiche del sottosuolo e di coesistenza di reti tecnologiche diverse. In linea generale, abbiamo appurato che questa conoscenza è piuttosto scarsa o molto frammentata, nel senso che è dispersa fra tutti gli operatori che gestiscono i vari sottoservizi, ognuno dei quali dispone, nel migliore dei casi, dei dati cartografici delle proprie condotte. Diverse volte, infatti, ci è capitato di scoprire la disponibilità di tubazioni in disuso dove si andavano a realizzare nuove infrastrutture. Ciò che manca è una cabina di regia, un soggetto unico che abbai il quadro completo della situazione in modo da poter dirimere eventuali sovrapposizioni. Ruolo che spetta istituzionalmente ai comuni, titolari della gestione del demanio pubblico.
Si ripropone così un tema di cui si parla da anni, il catasto del sottosuolo…
La disponibilità di un catasto dedicato alle infrastrutture del sottosuolo avrebbe un ruolo determinante per abbattere i costi di realizzazione delle reti e per semplificare la pianificazione di nuovi progetti. Un simile strumento, ovviamente, semplificherebbe il lavoro di tutti gli operatori dei sottoservizi che, potendo accedere a una banca dati aggiornati che riporta i dati aggiornati relativi alle infrastrutture, potrebbero procedere più tranquilli nei loro interventi. Lo scorso settembre, ad esempio, sul Ponte della libertà di Venezia, il ponte stradale e ferroviario che collega il centro storico con la terraferma, un escavatore impegnato nelle opere di realizzazione della tramvia ha tranciato per errore i cavi della pubblica illuminazione e della rete di telecomunicazioni in fibra ottica. L’incidente ha lasciato il ponte isolato e al buio per 24 ore, ha mandato in tilt i sistemi di telecomunicazioni di Comune e aziende pubbliche e il traffico dati è stato garantito da un back-up via radio con una riduzione di capacità da 10 GB a 100 MB.
Quali le principali criticità che ancora frenano la realizzazione di questo progetto?
Realizzare un catasto elettronico che contenga tutte le informazioni relative ai sottoservizi presenti in un determinato territorio, con l’indicazione chiara, precisa e georeferenziata di reti e impianti e di tutte le loro caratteristiche (profondità di posa, materiali utilizzati, anno di realizzazione, manutenzioni eseguite, ecc.) non è un’operazione semplice e che può essere realizzata in modo rapido. Si tratta, infatti, di attivare un processo, fatto di regole chiare e precise, di piattaforme tecnologiche in grado di governare ed integrare dati che provengono da sistemi di georeferenziazione e banche dati diversi. Un processo che richiede investimenti importanti, ma che porterebbe benefici enormi non solo per gli operatori del settore o per gli investitori, ma per la collettività.
Questa esigenza è presente presso i vari livelli delle amministrazioni?
A livello di amministrazione centrale, la creazione un catasto delle infrastrutture è un tema all’attenzione del Dipartimento delle comunicazione del Ministero dello sviluppo Economico (MISE). La sua istituzione, ad esempio, era uno degli obiettivi strategici fissati nell’Agenda Digitale del governo Monti e misure in tal senso erano previste nella bozza del Decreto del Fare del governo Letta, ma purtroppo gli articoli sono stati cancellati nella versione definitiva del documento. Tra l’altro, proprio il MISE ha affidato a Infratel Italia (Infrastrutture e Telecomunicazioni per l’Italia), società in-house del Ministero e soggetto attuatore del Programma Banda Larga, di costituire un gruppo di lavoro per definire le specifiche tecniche del catasto delle infrastrutture. Insomma, la centralità dell’opera è riconosciuta, sebbene non sia sempre chiaro quale livello di priorità le venga affidato.
Le amministrazioni locali come si stanno muovendo?
Vi sono diverse esperienze avviate un po’ a macchia di leopardo sul territorio. Molto avanti è la Regione Lombardia, che lo scorso anno ha approvato una legge per istituire nei Comuni gli Uffici del sottosuolo, organi predisposti alla raccolta delle informazioni sulla presenza dei sottoservizi, per arrivare a un catasto unico entro la fine del 2014, e alla gestione del Piano urbanistico per la gestione dei servizi e sottoservizi del sottosuolo (Pugss). Ha cominciato a muoversi anche la Regione Emilia Romagna, che ha avviato un progetto per la realizzazione di un catasto federato, che vede i Laboratori Marconi in veste di partner tecnico, in quanto ci siamo occupati dello sviluppo del software che consentirà di integrare i dati provenienti dai 340 Comuni della regione in un’unica piattaforma. Infine, Regione Toscana, che ha chiesto a tutti gli operatori la mappa delle loro reti. A queste si aggiungono le esperienze di città come, sempre per restare in Emilia Romagna, Bologna e Riccione, o Varese e Monza in Lombardia, tutte realtà che, tra l’altro, stanno utilizzando la nostra piattaforma Invento, sviluppata proprio per consentire ad amministrazioni ed aziende di costruire un catasto elettronico.
E nel resto del territorio?
Anche in questo caso, l’interesse è forte, anche se non sempre le amministrazioni hanno poi le risorse per finanziare i progetti. Lo scorso settembre, a Bologna si è svolto un convegno, organizzato dai Laboratori Marconi in collaborazione con Regione Emilia Romagna, Lepida, lo strumento operativo della Regione per la pianificazione, lo sviluppo e la gestione delle infrastrutture di telecomunicazioni, e Telecom Italia, al quale hanno preso parte diversi rappresentanti di amministrazioni locali. In particolare, molto attente al problema dell’infrastrutturazione e alle possibilità tecniche della costruzione di un catasto si sono mostrate Regioni, quali Friuli, Veneto, Umbria, Marche, che hanno compreso come i due elementi siano tra loro strettamente legati e come possano essere una delle chiavi per lo sviluppo economico dei territori.