Crescono gli investimenti nell’idrico, ma resta il gap infrastrutturale tra Nord e Sud

Crescono gli investimenti industriali, migliora la percezione della qualità del servizio e non sono pochi i progressi fatti anche sul fronte delle infrazioni comunitarie per quanto riguarda depurazione e fognature. Resta però il forte gap infrastrutturale tra Nord e Sud. È il quadro del servizio idrico integrato che emerge dal nuovo rapporto Blue Book 2019, il report sul comparto idrico promosso da Utilitalia e realizzato dalla Fondazione Utilitatis con la collaborazione di Istat.

Un quadro dal quale emergono diversi segnali positivi, ma nel quale, purtroppo, non meno evidenti sono le storiche criticità che attanagliano il settore.

Crescono gli investimenti

Tra i primi la crescita degli investimenti industriali, aumentati del 24% negli ultimi 7 anni, arrivando a 38,7 euro ad abitante nel 2017. Un incremento sul quale ha inciso non poco il trasferimento delle competenze di regolazione e controllo all’Autorità di regolazione per energia reti e ambiente (Arera) e che pare destinato a perdurare, sia per la stabilità della disciplina tariffaria, che ha consolidato la fiducia del sistema finanziario verso il settore, sia per l’introduzione della disciplina sulla qualità tecnica con il suo meccanismo di premi e penalità. Un impatto, quello della regolazione sulla qualità tecnica, che ha fatto registrare una crescita della programmazione degli investimenti del 24,6% per il biennio in corso (2018-2019), con gli investimenti pro capite realizzati nell’ultimo biennio stimati in 44,6 euro per abitante, dal momento che il tasso di realizzazione medio degli interventi programmati è stato nel 2017 pari a circa l’87%.

Migliora la percezione della qualità del servizio idrico

Altrettanto positivo il dato sulla percezione della qualità del servizio idrico, con l’84,6% delle famiglie allacciate alla rete idrica comunale, su un totale del 96%, che si ritiene molto o abbastanza soddisfatta. Dato che però varia sensibilmente sul territorio, con gli utenti del Nord della Penisola che manifestano un alto apprezzamento per il servizio, 91,9% delle famiglie, quota che cala di 10 punti nel Centro e nel Sud, scendendo al 67% nelle Isole. Soprattutto, nelle aree del Sud e delle Isole è elevata la percentuale delle famiglie che si dichiarano poco o per niente soddisfatte.

Reti e impianti da ammodernare

Passando alle criticità, queste riguardano soprattutto lo stato delle infrastrutture e dipendono in prevalenza dalla vetustà di reti e impianti. Il 60% delle reti è stato messo in posa oltre 30 anni fa, percentuale che sale al 70% nei grandi centri urbani, e il 25% di queste supera i 50 anni (quota che arriva al 40% nei grandi centri urbani). L’obsolescenza delle reti idriche si riflette sul livello delle perdite, ancora piuttosto elevato e nel 2016 superiore al 42%. Di conseguenza, l’incremento di investimento pro capite previsto per il biennio 2018 -2019 per la riduzione delle dispersioni idriche imposto dalla disciplina Arera è di 6 euro per abitante, mentre per il miglioramento delle acque di scarico è richiesto uno sforzo aggiuntivo di 7,2 euro per abitante.

Fronteggiare i cambiamenti climatici 

Altro aspetto sottolineato dal report è che gli interventi nei prossimi anni saranno sempre più legati alla necessità di fare fronte agli effetti dei cambiamenti climatici e al manifestarsi di eventi naturali estremi. Temi verso i quali il legislatore ha indirizzato i primi passi, con fondi pubblici stanziati negli ultimi anni per importi superiori ai 2 miliardi di euro, dei quali quasi la metà prevista nel Piano nazionale invasi e nel Piano nazionale acquedotti.

Ritardi nel settore raccolta e depurazione reflui e nell’affidamento del servizio

Altro punto critico, la grave lacuna che il nostro Paese ancora sconta per quanto riguarda la raccolta, il collettamento e la depurazione delle acque reflue. Circa l’11% dei cittadini, infatti, non è ancora raggiunto dal servizio di depurazione. La maggior parte di questi agglomerati sono concentrati nel Mezzogiorno e nelle Isole e si trovano in territori gestiti direttamente dagli enti locali. La conseguenza di tale situazione, oltre ai danni ambientali, è nelle sanzioni europee comminate all’Italia per i ritardi nell’applicazione delle regole sul trattamento dei reflui. Su questo punto, comunque, non vanno dimenticati gli importanti passi in avanti compiuti, con gli agglomerati relativi alla prima procedura di infrazione (2004/2034) ridottisi da 109 a 74, e quelli relativi alla seconda (2009/2034) passati da 41 a 14. In miglioramento anche la situazione che riguarda il parere motivato (2059/2014), con il numero degli agglomerati in infrazione passato da 879 a 620. Alle tre procedure si è recentemente aggiunta una quarta, la 2017/2181, ancora all’inizio dell’iter e che interessa ulteriori 276 agglomerati.

Infine, lo studio sottolinea anche la mancata conclusione del processo di affidamento del servizio idrico, ancora una volta con le aree meridionali del Paese a presentare i maggiori ritardi. Più nello specifico, 13 bacini scontano situazioni di mancato/incompleto affidamento: tali casi riguardano 6 dei 9 ambiti siciliani, 4 dei 5 bacini campani, l’ambito regionale del Molise, l’ambito regionale della Calabria, e, unica eccezione per il Nord, la Val d’Aosta.

«Restano aree della Penisola in forte, ritardo soprattutto nel Mezzogiorno, dove sono ancora numerose le gestioni comunali “in economia”: ciò si traduce in livelli di servizi e di investimenti non adeguati, generando iniquità fra diverse parti del Paese – ha commentato Giovanni Valotti, presidente di Utilitalia, nel corso della presentazione del report a Roma -. Potenziare il sistema delle imprese idriche nel Mezzogiorno è la via obbligata per migliorare la qualità dei servizi, con importanti impatti sull’occupazione e l’indotto locale. È importante non perdere questo treno: serve un grande piano per il Sud che punti a far decollare l’infrastrutturazione e a garantire un servizio universale cui tutti i cittadini, indipendentemente dal luogo di nascita, hanno diritto».

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