Aumentano gli investimenti e la gestione diventa più industriale, mentre diminuiscono le aree sotto infrazione europea per la depurazione. Di contro, le regioni del Sud restano ancora indietro rispetto al resto del Pese. È il quadro del comparto del ciclo idrico che emerge dalla nuova edizione del Blue Book, lo studio sull’industria del servizio idrico integrato realizzato dalla Fondazione Utilitatis – centro ricerche di Utilitalia (Federazione delle imprese di acqua energia e ambiente) – in un’anteprima presentata al Festival dell’Acqua a Bressanone (Bolzano).
Un primo dato positivo che emerge dalla ricerca è l’incremento degli investimenti: la media annuale degli investimenti lordi realizzati, stimata su un bacino di oltre 32 milioni di abitanti, ammonta a 37 euro a persona, avvicinandosi ai 40 euro pro-capite per i gestori verticalmente integrati. Guardando al quadriennio 2016-2019, tra dati di consuntivo e di previsione, la media annuale ponderata degli investimenti lordi arriva a 45 euro ad abitante, valore che beneficia dell’impulso legato alla programmazione 2018-2019, collegato all’introduzione della regolazione della qualità tecnica introdotta da ARERA, con un significativo balzo in avanti rispetto a dieci anni fa, quando ci si attestava a circa 30 euro lordi. Risorse focalizzate in gran parte sulla riduzione delle perdite idriche, circa il 20% degli investimenti, e sull’adeguamento del sistema di raccolta e trattamento dei reflui, 34%. Risultati importanti che però, sottolinea lo studio, riguardano solo i gestori industriali, che operano grazie ad affidamenti conformi alla normativa di settore. Ben diverso è infatti il quadro degli investimenti realizzati dai Comuni ancora gestiti “in economia”, dove si rileva una sostanziale inerzia nella manutenzione e nello sviluppo delle infrastrutture idriche, con una media di investimenti pari ad appena 4 euro ad abitante nel biennio 2016-2017.
Risultati positivi sono stati rilevati anche sul fronte delle infrazioni europee, inflitte all’Italia per il mancato o non corretto adempimento della direttiva europea 91/271/CEE sulle acque reflue: gli agglomerati relativi alla prima procedura di infrazione (2004/2034), per la quale la Corte di Giustizia ha già irrogato una multa, si sono ridotti da 109 a 74, mentre per la seconda infrazione giunta a sentenza (2009/2034) sono stati sanati 27 siti irregolari su 41. In miglioramento anche la situazione che riguarda il parere motivato (2059/2014), con il numero degli agglomerati in infrazione passato da 879 a 620.
Importanti passi in avanti sono stati compiuti anche nella riduzione della frammentazione del settore. Se la geografia degli Ambiti Territoriali Ottimali (ATO) è rimasta sostanzialmente stabile, con 62 ATO presenti sul territorio nazionale (64 nell’ultima rilevazione), diverse sono state le operazioni societarie straordinarie avvenute dal 2016, operazioni che hanno interessato circa 3,2 milioni di abitanti.
Passando all’attuazione della governance, si evidenziano 78 bacini affidati in conformità alla normativa sui 91 disegnati dalle Regioni, sebbene di questi solo 58 hanno individuato il gestore unico d’ambito, con un processo ancora in itinere. I maggiori ritardi si registrano nelle isole, dove solo il 35% degli abitanti fa riferimento a un gestore unico affidatario, e nel Nord est, che presenta dati simili. Ottima, invece, la performance nel Centro (90%), mentre a livello nazionale la popolazione servita da gestore unico d’ambito raggiunge in media il 55%.
Guardando più in dettaglio le cessioni di ramo d’azienda e le fusioni, il report rileva che queste hanno interessato oltre 2,6 milioni di italiani, che hanno visto cambiare il proprio gestore di riferimento a favore di operatori di maggiori dimensioni a controllo pubblico, già presenti nei territori vicini. Un passo avanti è stato compiuto nella transizione da gestioni dirette comunali a gestioni industriali: rispetto al 2016, 171 gestioni “in economia” hanno conferito il servizio a soggetti organizzati in forma societaria totalmente pubblici o a maggioranza pubblica, per un bacino di oltre 590.000 residenti.
La transizione dalla gestione diretta comunale a quella industriale ha interessato tutto il Paese: in termini di popolazione ha riguardato per il 40% il Nord, per il 31% il Centro e per il restante 29% il Mezzogiorno. Tuttavia, 6,2 milioni di abitanti sono ancora serviti direttamente dal proprio comune, fenomeno che interessa 1.400 comuni, localizzati soprattutto al Sud, che ha il primato (66%) delle gestioni in economia.
Sul fronte tariffario l’Italia resta ancora uno dei Paesi con i livelli più bassi, mentre in tema di morosità, il dato sui crediti rimasti non pagati a distanza di due anni disegna un Paese diviso in tre: un’area meridionale, isole incluse, dove si raggiungono picchi del 27% e una media del 14%; il Centro, ha una media di mancati incassi del 6%, con punte di circa il 19%; il Nord dove il livello massimo di criticità non supera il 6%, mentre il dato medio si attesta al 2,4%.