Il mio primo incontro con l’amianto fu uno smacco. Erano gli anni 90 e giovane tecnico trentenne mi fu affidato interamente un primo lavoro: una delle prime “Environmental duediligence” chieste in area torinese. Potenziali acquirenti olandesi, erano interessati ad acquistare un capannone industriale in Grugliasco e ci affidarono l’incarico di valutare l’eventuale presenza di passività ambientali.
Con il sacro furore del giovane messo alla prova, presi in considerazione i trasformatori, per ricercare i famigerati PCB, ispezionai la centrale termica per assicurarmi che non vi fossero tubazioni coibentate con amianto; cercai coperture in eternit; feci controllare i serbatoi interrati per essere certo che non vi fossero perdite in corso o pregresse; indagai sullo stato delle fogne per individuare fessurazioni con perdite nel sottosuolo; cercai, quello che io chiamo un “Caronte” del sito: un anziano operaio in pensione che raccontandomi del suo passato, traghettasse verso di me verità perse sulle “marachelle ambientali” del passato, che solo ora con pienezza si colgono in tutta la loro gravità; arrivai ad acquisire aerofotogrammetrie dell’area eseguite in più anni, per individuare scavi o attività dubbie; da notare che allora non era disponibile Google Earth e quindi le foto erano proprio foto, ordinate e acquistate presso l’Istituto Geografico Italiano.
Insomma, quando stilai le relazione finale ero certo di aver “scavato tutto lo scavabile” e di avere una situazione esaustiva delle condizioni dell’immobile.
Passai nell’ufficio del mio mentore, il Dott Avito Monaci, grande chimico che collaborò con noi alcuni anni dopo la pensione; lui che aveva industrializzato i brevetti del premio Nobel Giulio Natta.
Entrai con il mal celato intento di vantarmi della qualità del lavoro fatto, e lui, dopo una veloce occhiata all’elaborato, mi disse: “Ma la facciata, l’hai controllata?”. La facciata? Che facciata? Era un immobile che dava sulla strada con due piani di uffici foderati di lastre da circa un metro quadrato, posto davanti al capannone industriale; non era nelle mie nozioni cercare lì l’amianto.
Indagai e, come sempre, aveva ragione; i pannelli erano “double face”, la faccia esterna a matrice prevalente minerale nascondeva una faccia interna chiaramente fibrosa; eccolo! Era lì! Nascosto. Uno smacco! Professionalmente parlando; senza parlare dei danni potenziali che avrei potuto produrre. La cosa mi disturbò molto e iniziai a raccogliere tutte le informazioni reperibili in materia di manufatti con amianto. Misi le mani su un vecchio catalogo dell’Eternit e rimasi colpito dalla varietà e quantità di oggetti prodotti; canne fumarie, tubi per l’acqua, vasche per l’acqua piovana da sotto tetto, pannelli di ogni spessore e forma; per non parlare dei linoleum che arrivavano dall’est europeo.
Ma perché così tanto mercato per un materiale che oggi suscita allarme e negazione? La storia dell’amianto nell’edilizia ricorda un po’ la storia dei policromo bifenili, i famigerati PCB; un olio che allora era descritto come la “manna dei trasformatori”; grande stabilità chimica, bassa infiammabilità, bassa volatilità, alta costante dielettrica, scarsa solubilità in acqua…….. poi si seppe, tossico sub-acuto e cronico, per epato-cancerogenicità, con elevata liposolubilità e grande resistenza alla degradazione naturale, sino a farli rinvenire nel grasso degli orsi polari.
Ecco l’utilizzo dei minerali d’amianto nei manufatti edili dava caratteristiche importanti e apprezzate dal mercato: era ignifugo e garantiva una elevato isolamento termico.
Poi si seppe della cancerogenicità.
È necessario soffermarsi un attimo sul concetto della tossicità della sostanza. Il caso tragico dei lavoratori della Eternit di Casale Monferrato ha “flussato” molte informazioni con gradi differenti di affidabilità.
La fibra di amianto esprime la sua tossicità soprattutto perché è una fibra uncinata agli estremi, ma deve essere della lunghezza adatta per entrare negli alveoli; la particolarità è che per le sostanze termogene non è possibile fissare un limite di tossicità; non si può dire “c’è la tal concentrazione” e quindi l’ambiente è pericoloso; per le sostanze cancerogene vige il limite detto “stocastico” o danno probabilistico; se lo trovi nell’aria è potenzialmente pericoloso.
L’amianto può essere nelle nostre case, è certamente presente in molte aziende e non ci sono più dubbi che debba essere rimosso; è un impegno comune identificarlo e escludere ogni contatto con questi materiali.
Ivano Bosi – Responsabile QHSE presso Gruppo Marazzato
www.gruppomarazzato.com
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Didascalia foto 4: Ivano Bosi, Responsabile QHSE presso Gruppo Marazzato;